NOME: MANUELA GIUGLIANO
SOPRANNOME: NUVOLA ROSSA
RUOLO: FANTASIA
HOBBY: RAGGIUNGERE LA META
A North Platte, Nebraska, nel lontano 1822 nasce uno dei più grandi eroi dell'epopea western, il leggendario Nuvola Rossa, capo degli Oglala Lakota. Sotto il suo comando i nativi d'America riportarono importanti vittorie sull'esercito statunitense, tanto da costringere i padri bianchi a firmare trattati nei quali venivano rispettati i confini delle terre Lakota, impedendo così la costruzione della “Bozeman Trail”, una ferrovia che avrebbe collegato il Wyoming con il Montana. Una sconfitta talmente salata per le giacche azzurre, tanto che quegli scontri furono in seguito ribattezzati “La Guerra di Nuvola Rossa”. Maphya Lùta (nella lingua lakota) rimase orfano a soli tre anni. Allevato dallo zio materno divenne un precocissimo guerriero, combattendo contro Pawnee e Crow già adolescente, macinando da subito esperienza sul campo. Un po' se vogliamo quello che è accaduto anche ad una nuova pedina dello scacchiere biancoceleste, giovanissima, ma che ha già bruciato le tappe di una veterana, conquistando nel giro di pochi anni il palcoscenico della serie A, facendosi apprezzare come una delle più belle promesse del nostro calcio. Una medaglia di bronzo agli europei e ai mondiali con l'under 17, per poi passare immediatamente alla maggiore dove Antonio Cabrini, già la considera un punto fermo. Un ciuffo ribelle ramato, che in mezzo a tante maglie biancocelesti (o azzurre) assume davvero l’aspetto di una nuvoletta rossastra. Come non associare il grande capo indiano alla nostra piccola Manuela Giugliano? Certo l’aspetto da cherubino nulla ha a che spartire con il ruvido guerriero Lakota, ma la forza interiore degna del capo Oglala non le manca di sicuro.
Da piccola, neppure quindi troppi anni, fa hai deciso che il tuo gioco preferito sarebbe stato il pallone. Raccontaci un po’ da dove nasce questa passione.
Sin da piccola, a differenza di tante altre bambine, non ho mai amato le bambole. Ricordo che una volta mia nonna me ne regalò una, assieme ad una gonna, ma finì tutto nel cestino. Ero già innamorata di un altro giocattolo: il pallone. Già a sei anni giocavo con mio fratello, di quattro anni più grande, e i suoi amici nel campetto vicino a casa. Fu proprio in quel periodo che un dirigente dell'Istrana, la squadra di calcio del paese, mi chiese di provare ad andare a giocare con i maschietti. Andai a casa tutta felice per la notizia, ma mia madre stroncò subito il mio entusiasmo. Fortunatamente papà era invece molto più propenso ad accontentarmi e mi disse: “tranquilla a mamma ci parlo io”. Da lì è iniziato tutto. Ho giocato per quattro anni con l'Istrana e nell'ultimo anno, pur avendone solo undici ero aggregata ai “giovanissimi”. Al termine del campionato mi si presentò il problema di non poter continuare a giocare con i ragazzi. Volle il fato che il mio allenatore di allora, Matteo Schiavon stava per passare al Barcon, una società di calcio femminile che disputava la serie C ed in pratica mi portò con sé. Anche al Barcon sono rimasta per quattro stagioni. Il primo anno con le esordienti, ma dal successivo ero già catapultata in prima squadra dove sono diventata titolare subito (a dodici anni!).
Bruciare le tappe è dir poco... E dalla serie C al mondiale il passo non è stato neppure lungo...
In effetti è così. Già durante l'ultima stagione al Barcon mister Sbardella mi convocò per partecipare al mio primo Europeo di categoria. La stagione successiva passai in prestito alla Graphistudio Pordenone. Non giocai tantissimo, ma fu la mia prima esperienza in serie A e coincise con l'avventura mondiale in Costa Rica. Conquistammo il bronzo agli europei battendo nella finalina l'Inghilterra ai rigori. Diciamo che siamo state anche fortunate nel trovare dei gironi abbordabili, fino alla fase finale, oppure siamo state brave noi a far sembrare tutto più facile. Fatto sta che il terzo posto europeo ci dava la possibilità di disputare il mondiale di categoria in Costa Rica.
Un'avventura che hai vissuto da protagonista assoluta. Quando avete capito che potevate arrivare così in alto?
All'inizio non pensavamo assolutamente di poter fare così bene, ma dopo la partita vinta con la Costa Rica, che ci dava in pratica il passaggio del turno, dentro di noi è scattato qualcosa. Abbiamo intuito che potevamo raccogliere grosse soddisfazioni. Si era formato un bellissimo gruppo, unito sia in campo che fuori e credo che sia stata la nostra vera forza. E non meno importante è stato il rapporto con lo staff tecnico. Con Sbardella si è creato subito il feeling giusto e determinante è stata anche la presenza nello staff di Rita Guarino, che da donna ha saputo cogliere quelle ansie, quei piccoli problemi che anche grazie al suo supporto abbiamo potuto superare. A entrambi va il mio ringraziamento e credo anche quello di tutte le mie compagne.
Tu hai sempre giocato come trequartista? Ti senti più un Baggio o uno Zidane?
Alla Torres ho fatto anche il centrocampista centrale puro, ma in generale il mio ruolo è il trequartista. Più che un Baggio od uno Zidane mi piacerebbe assomigliare al mio idolo in assoluto sin da quando ero piccola, Alex Del Piero. Tra le donne invece ho sempre ammirato Alice Parisi e Carolina Morace, anche se hanno ricoperto ruoli diversi.
Dopo Pordenone, un altro doppio salto carpiato: la Torres.
Sì, la mia prima esperienza lontana da casa. Quando si presentò quest’occasione ero molto indecisa. La voglia di crescere da un lato, ma dall’altra la paura di un tale salto. Devo sicuramente ringraziare i miei genitori che in quel momento mi hanno sostenuto e appoggiato nella scelta di provare una nuova avventura. Star lontano da casa è dura, ma ti permette di crescere. Le mie compagne mi hanno aiutato tanto, in particolare Aurora Galli, con cui condividevo l’abitazione, insieme ad altre ragazze, mi è stata sempre vicina. E sono ben felice di ritrovarla qui al Mozzanica.
Perché hai scelto Mozzanica dopo la Torres?
In realtà già avevo avuto la possibilità di andare al Mozzanica lo scorso anno. Vinse allora il fascino del grande salto, ma proprio in Sardegna non nego che ci furono molti problemi a livello societario. Da questo lato mi hanno convinto e rassicurato le parole di Daniela Stracchi che mi ha dipinto il quadro del Mozzanica come quello di una società composta da persone molto serie e coerenti. Rispetto alla Sardegna l’unica nota dolente è il clima…
Tornando alla nazionale, con Cabrini hai fatto l’ennesimo salto in lungo: dall’Under 17, direttamente alla maggiore, ti aspettavi questo trampolino diretto?
In tanti mi hanno fatto questa domanda. No non mi aspettavo il passaggio diretto dall'U17 alla maggiore, anche perché il mio obbiettivo è sempre stato crescere a piccoli passi costanti, ma non ti nego che ricevere la chiamata di mister Cabrini è stata una grande emozione e voglio continuare a meritarmi la sua fiducia.
Sei appena stata premiata con il”Pallone Azzurro” del calcio femminile, mica male per un’appena maggiorenne.
Anche questa notizia mi è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Non mi sarei mai aspettata di essere nominata in mezzo a tante giocatrici più esperte, ma non voglio illudermi che ora sia tutto facile per me. Questo premio, che è un’immensa soddisfazione, deve essere solo un punto di partenza.
Molte ragazze in passato hanno dovuto rinunciare alla nazionale, ma i motivi sono ben altri: lavoro e scuola soprattutto. Non sempre è facile far convivere la vita di tutti i giorni con il calcio ad alti livelli.
E’ vero, purtroppo in Italia non c’è molto spesso questa possibilità, in quanto il professionismo nel calcio femminile non esiste. Qualcosa in realtà si sta muovendo, ma siamo ancora lontani da quello che succede in altre nazioni. L’affiliazione con le squadre maschili è sicuramente un punto di svolta importante, la Fiorentina per prima è andata in questa direzione, speriamo che presto anche le altre società professionistiche seguano il suo esempio.
Lontano dal campo cosa c’è nella vita di Manuela Giugliano?
Sto frequentando la scuola per assistenza sociosanitaria. Oltre al calcio il mio sogno è poter lavorare per gli altri. Potresti vedermi un domani in una casa di riposo ad intrattenere i nonni raccontando le mie gesta sul campo (sorridendo).
Idee chiare e carattere forte non le mancano davvero. Eppure a vederla da vicino sembra una bambolina inerme. Altro che bambolina! Guai a sottovalutare Nuvola Rossa!
foto di Maria Gatti