Negli anni ’80 e ’90 il calcio maschile era fecondo di giocatori simbolo, bandiere storiche che raramente cambiavano maglia al termine del campionato. Ricordo solo Filippo Maniero che ad ogni stagione doveva trasferirsi e veniva infatti soprannominato “il giocatore con la valigia”. Oggi la realtà è molto diversa, ma non nel femminile dove le squadre sono ricche di bandiere e l’ossatura quasi mai viene smantellata. Ma in mezzo a queste esiste una campionessa che nella sua carriera ha girovagato in lungo e in largo per lo stivale, vestendo nella sua ancora breve storia le maglie di Atalanta, Milan, Bardolino Verona, Torres, Tavagnacco, Napoli e oggi Mozzanica, con la quale speriamo finalmente abbia trovato casa e voglia disfare definitivamente la valigia. Questa intervista con Penelope “Penny” Riboldi inizia in una fredda sera di dicembre, appena prima della consueta seduta d’allenamento del lunedì. E nonostante lei si presenti con tanto di berretta, guanti e calzettoni alzati sulla tuta fino al ginocchio, il suo fascino non ne risulta minimamente scalfito. Una ragazza bellissima, ma anche sicura di se stessa e determinata nel raggiungere i propri obbiettivi.
Da dove possiamo iniziare nel raccontare la tua storia con il pallone?
Da piccolissima ho iniziato subito a giocare con qualsiasi cosa che sembrava una palla. A volte usavo dei pupazzetti o ne costruivo io una con la carta e lo scotch. Da una parte della camera c’erano le Barbie che non mi sono mai fatta mancare e dall’altra in pratica mi creavo il campo di calcio. Sia mamma che papà mi hanno sempre sostenuto nella mia passione. Il mio patrigno invece avrebbe preferito che mi concentrassi sul lavoro. Ma l’amore per il calcio ha sempre vinto.
Poi arriva il momento di indossare le scarpe con i tacchetti sul serio…
Ho iniziato con i maschi del Brembo di Dalmine a dieci anni. Poi ho fatto un anno al Milan nelle giovanissime. Dopodichè sono andata all’Atalanta dove ho fatto tutta la trafila nelle giovanili fino alla prima squadra con la quale abbiamo conquistato la promozione in serie A. Poi ho fatto un anno in prestito al Bardolino coronato dalla vittoria dello scudetto. E’ stato il mio primo grande salto di qualità, giunto in un momento in cui venivo comunque da un bel periodo con la nazionale Under 19, con la quale avevo disputato l’Europeo. Sono tornata all’Atalanta e poi ho giocato per due anni nel Tavagnacco. Il primo anno abbiamo raggiunto il secondo posto e abbiamo potuto disputare la Champions League la stagione successiva. E’ stato un anno ricco di soddisfazioni, ho segnato tanto e ho ricevuto il premio come migliore giocatrice del Triveneto. Pensare che quel premio in passato l’hanno vinto giocatrici come Panico, Gabbiadini e Boni è stato davvero gratificante. Fui convocata anche un paio di volte in nazionale, ma solo per dei raduni. L’unico rammarico è proprio quello di non aver potuto disputare neppure un’amichevole con la maglia azzurra, in quello che è stato forse il mio momento di forma migliore. Credo proprio che l’avrei meritato. Lo scorso anno decisi di provare l’avventura al Napoli, anche con l’intento di riguadagnarmi la nazionale. Purtroppo alla seconda gara di coppa Italia ho messo giù male il piede e nel ricadere ho proprio sentito il ginocchio fare crac. Fisicamente stavo bene, nella gara prima avevamo vinto 5-0 con quattro miei goal e quell’infortunio non ci voleva proprio. In pratica ho finito lì la stagione, poiché sono rientrata solo a cinque giornate dal termine.
Mozzanica che quindi diventa per te un punto dove ripartire da zero?
Proprio da zero non direi… La società da me si aspetta molto, il presidente me lo sottolinea spesso. Il Mozzanica mi cercava da quattro anni e ora che sono qui mi si chiede di fare la differenza. Mi conoscono e sanno che giocatrice sono ed è giusto che da me ci si aspetti questo. La pressione su di me la sento, ma devo essere io a star tranquilla e lasciare che mi scivoli addosso. L’importante è che io riesca a dare tutto sul campo, giocando per la squadra, aiutandola a vincere, con i goal, ma anche con gli assist e soprattutto il sudore. Se gioco come so, poi arriveranno anche i goal. Il Mozzanica è una squadra che può puntare a qualcosa di più che un quinto posto. Con Brescia e Tavagnacco lo abbiamo dimostrato. Erano gare che potevamo anche vincere, ma gli episodi ci sono stati sfavorevoli. Certo forse non siamo ancora competitive per puntare a vincere il campionato, ma un terzo posto è alla nostra portata. Siamo comunque una squadra giovane, con tante ragazze nuove. Piano piano il gruppo sta crescendo, l’ambizione di giocarcela anche con le prime della classe c’è.
Hai sempre segnato tanto nella tua carriera mentre ad oggi sei a quota tre in campionato e due in coppa. Sai che la squadra punta molto su di te anche dal lato realizzativo. Il modulo del Mozzanica ti obbliga forse a giocare più lontana dalla porta?
No, non è sicuramente quello il problema. Ne ho sempre segnati tanti anche quando giocavo come esterna di centrocampo pertanto è logico che da me ci si aspetti di più. Il primo anno al Tavagnacco non giocavo da punta, ma da ala eppure ho segnato 19 goal. Vero è che quella friulana era una squadra con giocatrici dalle grandissime qualità, nella quale in tutte le partite avevo tante occasioni di andare verso la porta. La mia volontà comunque è di riconfermarmi anche come realizzatrice. Non sempre ho tantissime occasioni di andare a rete, ma il mio gioco mi consente di tagliare spesso al centro, quindi se vengo lanciata dalle compagne in porta io ci vado. Poi sta a me non commettere errori come quelli di Firenze, dove le occasioni le ho avute e le ho sprecate. Non ho ancora superato del tutto i problemi al ginocchio destro, questo spesso mi impedisce di fare i movimenti naturali come vorrei io, ma non deve essere questo un alibi. Posso segnare di più e ne sono sicura. Certo se la squadra gioca bene e vince non è prioritario che sia io ad andare in goal.
Tu hai avuto la fortuna di giocare in due grandi squadre come il Bardolino Verona e il Tavagnacco. Che differenze hai trovato tra le due?
L’anno di Bardolino, al di là del fatto che abbiamo vinto lo scudetto, fu un bellissimo anno perché tra noi ragazze si era creato un gruppo fantastico. Eravamo tutte grandi amiche e questo si vedeva anche in campo. Direi che è stato tutto perfetto. Il primo anno al Tavagnacco però devo dire di aver vissuto un’esperienza simile, direi che non ci sono state molte differenze tra le due squadre. Anche come qualità, quel Bardolino era stellare, in attacco c’erano Boni, Gabbiadini e Panico e poi Giorgia Motta, una giovanissima Michela Rodella, Roberta Stefanelli, Laura Barbierato insomma era uno squadrone. A Tavagnacco Parisi, Masia, Tuttino, Bonetti, Brumana, Mauro, Camporese… in pratica scegliere tra le due squadre mi è davvero difficile. Posso dire di essere contenta di aver potuto giocare con tante campionesse di quel livello.
Tra tutte le campionesse con le quali hai giocato se dovessi sceglierne una chi diresti?
E’ anche una mia grande amica, ma non la scelgo di sicuro per questo e parlo di Tatiana Bonetti. Una giocatrice completa, dalla grande tecnica individuale, veloce di piede, di testa, lei sa già cosa fare col pallone prima ancora di riceverlo. Forte fisicamente, è difficilissimo portarle via il pallone, nonostante non sia altissima. Dopo di lei Melania Gabbiadini.
Nel maschile invece?
Non voglio dire i soliti Cristiano Ronaldo o Messi, dico allora Ribery, un giocatore per il quale provo grande ammirazione.
E il difensore che non vorresti mai trovarti di fronte?
Sara Gama. L’ho affrontata diverse volte, proprio perché come me anche lei gioca prevalentemente in fascia. Quando giocava al Chiasiellis era quasi insuperabile, veloce e bravissima tecnicamente e tatticamente. Nel Brescia purtroppo anche lei ha pagato il rientro da un infortunio importante.
Tolta la tuta da allenamento cosa fa nella vita Penelope Riboldi?
Per ora il mio lavoro è il calcio, mentre con lo studio sto frequentando una scuola privata per diplomarmi in scienze umane e… poi c’è l’amore…sono innamorata e felicissima.
E’ sempre bello sentire una ragazza esprimere con tanta naturalezza la propria felicità e noi tifosi biancocelesti siamo felicissimi di avere Penny in campo ogni sabato.